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Saper Fare Coaching e Promuovere il Coaching Tra i Dipendenti

EZRA
Oct 12 2020 | Approfondimenti
Giovane sorridente in top grigio con camicia di jeans blu sopra, che impara ad essere istruibile

C'è una citazione ampiamente attribuita a Michael Jordan che definisce ciò che lui stesso – probabilmente il più grande giocatore di basket professionista di tutti i tempi – ha identificato come il suo più grande talento.


Si trattava della sua innata capacità di realizzare il canestro decisivo? Oppure la sua bravura sia nel difendere che nell'attaccare sotto canestro? Forse erano la sua leggendaria resistenza e resilienza, il giocare sempre anche in caso di malattia e infortunio a produrre grandi risultati?

No, niente di tutto questo.

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"La mia risorsa più grande era l'essere allenabile", ha detto una volta Michael Jordan. “Ero come una spugna e desideravo tantissimo imparare”. 

Jordan gode di molto consenso per questa autovalutazione. Il leggendario allenatore dell'NBA Phil Jackson, che ha curato le carriere sia di Jordan che del compianto Kobe Bryant, ha convenuto che c'era “qualcosa di "allenabile" in Michael che Kobe non aveva”. Se Jackson doveva far uscire Jordan perché stava disputando una brutta partita, questi avrebbe immediatamente iniziato a cercare delle soluzioni.

“(Jordan) si rendeva conto di quello che aveva fatto. Aveva una coscienza”. 

La carriera di Jordan e il suo desiderio di essere formato non sono un esempio solo per gli aspiranti giocatori di basket. Al giorno d'oggi, la maggior parte di coloro che lavorano nel mondo delle imprese è consapevole del fatto che i dipendenti "coachable" sono molto richiesti. L'essere coachable implica apertura, dedizione e capacità di adattamento.

Ma non è tutto. Ora che il coaching è ampiamente disponibile non solo in ambito dirigenziale, la coachability è diventata una componente molto importante nel processo di assunzione e nello sviluppo della leadership.

Per le aziende che vogliono assumere personale adatto alla coachability, esistono moltissime risorse su come individuarlo e inserirlo nella propria cultura aziendale. Non a caso, la maggior parte proviene dal mondo dello sport.

Cosa rende una persona “coachable” o non “coachable”?  

Bill Beswick, uno psicologo e autore che ha lavorato con alcune delle squadre di maggiore successo della Premier League inglese, ritiene che si possa individuare una persona coachable nel momento “stesso in cui un allenatore interviene con consigli, insegnamenti o critiche”.

Beswick consiglia agli allenatori di calcio di prendere nota se un giocatore risponde con arroganza (non ho bisogno di aiuto), indifferenza (chi se ne importa?), rabbia (chi sei tu per dirmelo?) sovversione (si rivolge agli altri per sminuire il messaggio dell'allenatore) o bassa autostima (che trasforma i consigli del coaching in critiche).

Queste considerazioni sono strettamente condivise dagli accademici e dai coach nel mondo del lavoro. Il leggendario guru della leadership e autore Marshall Goldsmith identificò quattro segni rilevatori di quelli che lui chiamava “i non coachables.” 

Includono persone che sono nella fase della negazione. Quelli che di fronte all'evidenza, non riescono ad accettare di avere un problema o di aver fatto qualcosa di sbagliato. Infatti, Goldsmith sosteneva che gli impiegati che "pensano che tutti gli altri siano il problema" siano completamente non coachable. “È impossibile correggere le persone che pensano che il problema sia qualcun altro”, ha scritto

Eppure, questi esempi non identificano più di tanto le caratteristiche principali di una persona coachable.

Le principali caratteristiche di chi è veramente coachable 

Come accade nella maggior parte delle classifiche, troverete una serie di interpretazioni e descrizioni delle principali caratteristiche di atleti e impiegati coachable. Ma ci sono diversi punti su cui quasi tutti concordano.

Apertura e disponibilità 

Quasi tutti in questo ambito ritengono che la coachability inizi con la volontà di imparare e di migliorarsi. È molto facile per qualcuno fingerla, ma la maggior parte degli esperti in questo settore sostiene che la reazione di un dipendente quando gli viene assegnato o offerto un percorso di coaching o un consiglio rappresenta una valida indicazione della sua reale volontà. I dipendenti devono vedere il coaching "come un segnale positivo", in quanto l'azienda vuole investire su di loro, e non come un modo per mettere in dubbio il loro valore. 

Impegno e volontà 

Anche se questo può sembrare così ovvio da non dover neanche essere menzionato, una continua e profonda volontà di imparare e di migliorare è fondamentale per una mentalità coachable. L'Executive Coach Alan Fine che, prima di passare alla C-Suite, ha iniziato la sua carriera di coaching nel tennis di alto livello, spiega che questo desiderio di imparare e l'impegno per il successo personale e aziendale sono il fondamento della coachability.

Intelligenza e passione 

Lo stesso Bill Beswick ha studiato alcuni degli allenatori di maggior successo negli sport professionisti e ha scoperto che alcuni, come il leggendario Bill Belichick, allenatore dei New England Patriot, ingaggiano giocatori che sono tanto intelligenti quanto talentuosi. Il talento li aiuta a fare cose notevoli, ma l'intelligenza permette loro di capire il valore del coaching. “Lo staff di Belichick spreme senza sosta il massimo delle prestazioni dai giocatori la cui eccellenza è definita dalla loro testa e dal loro cuore tanto quanto dalle loro braccia e gambe”. 

Con la diffusione del coaching a un numero sempre crescente di aziende, e a più livelli organizzativi, ha certamente senso per i datori di lavoro attingere a piene mani dal mondo del coaching e reclutare dipendenti che siano in grado e disponibili ad accettare la guida che un coach può offrire. 

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